Il titolo del pezzo di oggi per l’Unità. Qui di seguito il primo pezzo calabrese:
«È qui che vogliamo vivere», la Calabria come non l’avete mai vista
È molto presto. Esco dall’albergo, chiedo la ricevuta e la signora non capisce. Meglio, finge di non capire. Iniziamo bene. L’unica sosta della giornata sarà al Metapoint di Metaponto (ma si può?). A qualche centinaio di metri di distanza, ci sono le Tavole Palatine. Uno spettacolo da apprezzare soprattutto all’imbrunire. Prima di buttarsi sulla mitica 106 Jonica. Cercando di rispettarne i limiti di velocità. Al contrario, in questo caso, perché il traffico è lentissimo.
Vado in Calabria a vedere in che condizioni è la regione che è sempre citata nelle ultime posizioni delle classifiche di efficienza, quando si parla di federalismo e di pubblica amministrazione. E non solo. Arrivo a Isola di Capo Rizzuto. E sono tutti un po’ diffidenti. Il periodo è di quelli tosti. Carolina Girasole vince nel 2008. È biologa. Dal 2003 il Comune aveva avuto più il commissario che un consiglio comunale. Ci voleva e si sentiva il desiderio di un grande cambiamento, ma poi, spiega Carolina, «quando il cambiamento arriva, fa paura». E fanno paura anche le reazioni di chi si sente colpito nei propri interessi. Tre macchine bruciate in quattro giorni. E penso che, da Fondi a Isola, passando per Gravina, è già la terza persona che mi parla di auto bruciate. In quattro giorni.
«No ai compromessi», mi dice Carolina, che è stata eletta con uno slogan bellissimo, che, penso, potrebbe tornare utile anche a Bersani e al Pd: «è qui che vogliamo vivere». No alle clientele e ai favoritismi: in cambio, insiste Carolina, «regole e nuove soluzioni». «Unico obiettivo, il bene comune». In giunta, professionisti e cittadini. Liberi. I partiti non sempre capiscono. Nemmeno il Partito democratico, purtroppo: l’ex capogruppo ha pensato bene di fondare una sua «area» politica proprio nei giorni delle auto bruciate, degli arresti e della manifestazione di solidarietà al sindaco e all’amministrazione. E di farlo sapere al sindaco direttamente in aula.
Chiedo a Carolina cosa sia il coraggio dell’amministratore. E lei, con l’orgoglio di chi ci prova dalla mattina alla sera, dice che il coraggio è anche portare a compimento un concorso bloccato da anni, spostare i dipendenti da un ufficio all’altro per migliorare l’efficienza del Comune, controllare gli atti (tutti gli atti), non fare preferenze.
A Isola da due anni c’è un governo democraticamente eletto. C’è un sindaco che vuole ripartire dalla programmazione, dalla lotta all’evasione, da un nuovo piano regolatore. C’è un comandante dei vigili scelto con tutti i crismi della forma e della sostanza. E per concorso. C’è un centro storico da recuperare. Ci sono i terreni confiscati alla criminalità organizzata da coltivare, finalmente, con una nuova cooperativa sociale e con il sostegno di Libera. «E siamo solo all’inizio», dice l’assessore Marcello Bombardiere.
«Centocinquant’anni fa venne dal Piemonte (che strane coincidenze con i nostri giorni!) qualcuno che, baionetta in pugno, diceva di volerci uniti in un solo popolo ma poi queste nostre terre, questa nostra gente, sperimentarono d’essere diventati colonia piemontese!», ha tuonato il parroco nell’omelia di un’importante festa religiosa, il 5 agosto. Speriamo che quella parentesi dedicata al Piemonte non si riferisse a don Ciotti, come ha pensato qualcuno. Perché non è il momento dell’ambiguità, questo, ma della responsabilità comune.
L’opposizione strepita e gioca con i più classici tra i tormentoni: se un avvocato fa l’assessore e perde il suo tempo, non è disinteressato, è sicuro che ci guadagna qualcosa. Se il sindaco non riceve più «di persona, personalmente» chi ha bisogno, com’è tradizione, ma lo fa passare dai due nuovi assistenti sociali, è lontano dai cittadini. Se un assessore fa rispettare le regole, vuol dire che non ha a cuore le necessità della povera gente. Argomenti che funzionano, da sempre e da tutte le parti. E che si vincono solo con la costanza e con la responsabilità.
Qui a Isola sono passati da 10.000 a 180.000 euro all’anno per i Servizi sociali. È stato il vento. Le convenzioni di due parchi eolici sono state riviste, e ora il Comune incassa il triplo di prima: «Da 500.000 a 750.000 euro all’anno». E si comincia anche a sanare la situazione finanziaria del Comune. Dei 10 milioni di debiti, 3 sono stati già recuperati.
Ci spostiamo di qualche chilometro, ma le note sono simili.
«Non sarai un po’ fiscale?», gli chiedevano i ragazzi che sostennero la sua candidatura a sindaco. Perché si occupa, per lavoro, di tasse. E dell’esazione delle imposte. L’hanno candidato a Rocca di Neto (KR). Un sindaco esattore nella Calabria profonda. Roba che i leghisti non saprebbero più che cosa dire.
Luigi Marangolo è del 1971, è stato nove anni a Codogno, per lavoro, poi è tornato qui. Conosce i luoghi comuni del Nord. E anche quelli del Sud.
Qui il partito è diviso, e quando chiedo a Tommaso (classe 1983, assessore all’Urbanistica) che cosa stia succedendo, Tommaso mi dice: «Mo’ ti spiego», e parte con una ricostruzione che ha dell’incredibile. E del vertiginoso. Oltre a una difficile conclusione della stagione dei Ds, qui c’è una sorta di Margherita mobile che va un po’ da tutte le parti. Si chiamano Demokratici. Col kappa. Di Krotone. E non solo. Un’area di centro con un leader karismatico. Chissà perché all’eminenza grigia si accompagna sempre una zona dello stesso colore, dai confini incerti e dal profilo molto mosso. Del resto, le alleanze, da queste parti, sono quasi tutte sorprendenti. E la politica, quella buona, fa fatica a imporsi.
«Colpa del tradimento dei Savoia nei confronti del disegno compiutamente unitario», dice Luigi. «Lo Stato non è sentito dalla popolazione. Non ci si crede. Dallo Stato si prende quello che si può, che si riesce. E poco altro». Il problema culturale si trascina, qui, da sempre. Anche a livello regionale, dove il nuovo presidente Scopelliti aveva promesso che Berlusconi lo avrebbe aiutato con il buco della Sanità. Ma Berlusconi, si sa, è democratico, sia quando c’è da promettere, sia quando c’è da mantenere: l’aiuto lo aveva promesso a tutti, dal Lazio alla Campania. E non ha dato nulla a nessuno.
Il Comune, da quando c’è Luigi, collabora con l’Agenzie delle Entrate, come mi hanno detto di aver fatto, Fausto a Arcore e Dario a Bergamo, quando amministravano. «Si è sempre potuto fare», mi dice il sindaco, fin dal ‘73. I Comuni partecipano agli accertamenti e nel caso ne ricavano un terzo. E a Rocca, come nel resto della Calabria, questo è una delle urgenze principali. Perché l’evasione è un fenomeno che assume proporzioni clamorose.
Luigi però ci spera: mi dice, ad esempio, che i burocrati giovani sono meglio di quelli della generazione precedente. Sono più aperti, più efficienti. E i giovani calabresi hanno «una cultura della legalità», dice. «Solo che ci vorrebbe la politica», che sembra non risolvere i problemi e appiattisce tutto. Al Nord è la Lega (anche quando governa) che ci guadagna. Qui i soliti noti. E il loro clientelismo.
E penso, ancora una volta, che la politica non è quella dei numeri legali, delle maggioranze variabili, delle preferenze (in senso elettorale e purtroppo anche amministrativo). La politica della tattica. No, quella è una politica minore. Strumentale. La politica sta da un’altra parte. Non nelle stanze dei notabili, degli strateghi e del sottopotere, ma nei campi sottratti alla mafia, nelle piazze che tornano a vivere, nei conti che tornano e basta, perché c’è qualcuno che li sa fare. Sta nell’accettare le sfide dove le sfide non sono richieste (mai e da nessuno), dove sono impopolari e improbabili. Impossibili, forse.
A tavola, davanti al mare, si parla di ritardi, dei fondi FAS che volano via, delle infrastrutture che non ci sono e di quel litorale jonico che ci puoi mettere 150 anni a farlo tutto. «Gli occhi di ’sti ragazzi, guardali, Pippo: sono sempre al Comune e ci credono, nonostante tutto». E, allora chiedo: se foste voi a governare la Calabria? Tommaso riparte: «Mo’ ti spiego…».
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