Che vedi quello che succede in questa Italia, la fine di un amministratore locale ammazzato dalla camorra, la mestizia della scuola pubblica che riapre (riapre?), la difficoltà di migliaia di cittadini, il tempo perso e le occasioni mancate e a volte tutto ti sembra così struggente. E ti viene in mente Rilke, per dire, e la «notte della dismisura», in cui siamo sprofondati.
Che ci sono esagerazioni ed eccessi. E tutto sembra così sproporzionato: le cose che abbiamo di fronte, le sfide che ci attendono e, poi, le nostre meschinità, l’infima qualità del dibattito, la difficile soluzione da individuare con i mezzi inadeguati di cui disponiamo.
Abbiamo di fronte Schifani, e qualcuno storce il naso per Di Pietro. Pare sia un irresponsabile, con il quale facciamo alleanze – responsabilmente – da vent’anni. Parliamo di governabilità, e poi imbarchiamo forze politiche che dichiarano ufficialmente che non parteciperanno al governo. Curioso concetto di responsabilità, davvero.
E tutto mentre il mondo e la storia scorrono, come se noi non ci fossimo.
La storia si spalanca davanti a noi e noi ci sottraiamo, chiudendoci in un nostro discorso (più precisamente un monologo) interiore. Proteggendoci dalle cose che non sappiamo, grazie a quelle quattro o cinque che ci sembra di padroneggiare.
La complessità ci fa indugiare o abbandonare a scorciatoie. Ad atteggiamenti superficiali. A continui cambiamenti di rotta, che fanno impazzire tutti quelli che ci seguono. E che ormai ci inseguono. Con il fiatone. E con il nervoso, anche.
Basta, vi prego, parlare di assetti, formule, alleanze, strategie, gherminelle, rimbalzi tecnici, giochi di ruolo. C’è bisogno di dire qualcosa. Di comprensibile. Di coerente. Di giusto. Di necessario.
C’è la crisi economica, anche se ora, per la verità, non c’è nemmeno più, è sparita perché Tremonti vuole andare a votare. E però c’è la crisi. C’è la crisi della politica, c’è la crisi dei salari, c’è la crisi di governo. E nessuno sembra notare che c’è da cogliere l’occasione per un ripensamento in limine mortis, per una presa di coscienza del mondo che c’è là fuori, per una grande riscossa delle energie vitali di un Paese ormai avvilito. Che lo è talmente da sembrare incapace di reagire.
Sproporzioni, lontananze, eccessi, dismisure: eppure tutto sembra così chiaro, ovvio, luminoso. Eppure.
Il poeta prosegue consigliando, al suo interlocutore, di essere «magica forza all’incrocio dei tuoi sensi, senso del loro incontro strano». Ecco cosa ci vuole. È il momento di mettersi in gioco, per cambiare tutto o quasi. Chissà che qualcuno se ne renda conto. Prima che sia troppo tardi.
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