E mentre Calearo si astiene (minchia!), B ha ancora almeno 310 sostenitori tra i deputati. E ne ha ancora di più, perché i cosiddetti finiani si chiamano così perché stanno con il presidente della Camera solo 'fino' ad un certo punto. E il punto sono le elezioni anticipate, che metà di loro dichiaratamente non vogliono.
In quell'aula, l'impressione è che siano in pochi a desiderarle, anche perché, per tanti motivi collegati alle bizzarrie del porcellum e alle dure leggi della politica, molti parlamentari temono legittimamente che, se si andasse a votare, non ritornerebbero a Roma. E vale a destra, "ma anche" a sinistra, come dimostra, al netto degli aspetti pecuniari, il grande movimento a 'centrocampo' degli ultimi giorni.
Tutto come prima, tutto come sempre. L'eterno ritorno dell'uguale, un po' come capita all'incredibile chioma che il premier porge alle telecamere. Passano gli anni ed è sempre la stessa. Con un B al limite della follia, alla guida di un battello non ebbro, no, di più, che però sa di avere ancora il coltello dalla parte del manico. Con un Bersani ritrovato, finalmente, che è piaciuto per l'incisività dei cenni a ciò che il Pd farebbe al posto dell'attuale governo, a cominciare dalla riforma fiscale, e dallo spostamento di risorse dalle rendite al lavoro.
La verità, però, è una sola: che questo governo non ha fatto nulla, nemmeno quello che aveva promesso. E che forse ora si può iniziare ad attribuire le colpe a chi le ha, come in aula ha notato il segretario del Pd.
L'importante, d'ora in avanti, è fare come Bersani ha fatto oggi in aula, che gli esponenti del Pd si trasformino in 'bersanieri', agili e scattanti sul famoso territorio. Alla carica, dimenticandosi le alchimie estive che ci hanno quasi avvelenato e senza preoccuparsi troppo di quello che succederà a Bocchino, alla Lega e ai centristi. Perché è molto probabile che non succeda nulla e che, come sempre, dai banchi della destra non venga niente di nuovo. Niente di buono.
Un'ultima annotazione, rispetto alla vittoria di Silvio. Che è un po' come quella di Pirro, con una sfumatura di senso che alle gesta dell'antico sovrano mancava: perché B vince, oggi, e però sembra aver definitivamente perso la bussola (proprio quella che il Pd cercava, la settimana scorsa). E le sue vittorie corrispondono sempre alle sconfitte della politica. E del Paese. Che ha perso altri sei mesi. E altri, certamente, ne perderà.
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