Ilda Curti, assessore a Torino, ha scritto i dieci motivi per venire a Firenze (e vivere felici). A me piacciono soprattutto il punto 6 e il punto 10.
1. Perché appartengo ad una generazione di arrivati tardi: nel ’68 avevo 4 anni. Nel ’77 ne avevo 13. Quando c’era la meglio gioventù io appartenevo alla meglio infanzia. Sono quasi 40 anni che ne sento parlare. Ho ammirato i fratelli maggiori che sembravano straordinariamente capaci di capire e interpretare il mondo. Nel frattempo sono cresciuta, ho studiato, lavorato, cambiato città, amori, lavori. Ho fatto i conti con le rate del mutuo, con i contributi INPS, con il futuro dietro le spalle, con la necessità di capire cosa stava succedendo. Nel frattempo è caduto il muro, si è allargata l’Europa e si è anche un po’ frantumata, si è spostato il baricentro mondiale, si sono dissolti Stati, ci sono state guerre a 500 km di distanza da casa mia, è nato Internet, i social net, la new economy è esplosa, la modernità si è complicata. Nel frattempo, da 16 anni, la democrazia italiana è immobile, involuta, bloccata, arretrata. Nel frattempo ho frequentato la cosa 1, la cosa 2, il partito liquido, quello solido, quello social-democratico, quello democratico, quello aperto, quello chiuso. Quello della pluralità del ‘900, in attesa delle pluralità del terzo millennio. Nel frattempo ho una figlia che è giovane davvero, e i pensieri sul futuro si fanno cupi, sincopati e difficili. E comincio a pensare che i miei fratelli maggiori non è che le abbiano azzeccate proprio tutte: l’infallibilità di una generazione non è un dogma. Questo vale solo per il Papa e per chi ci crede
2. Perché i miei fratelli maggiori sono 40 anni che interpretano il mondo. Appartengono ad una generazione che ha gridato “senza padri ne’ maestri”. E che ha trovato padri e maestri da ribaltare e contestare. Io, invece, appartengo ad una generazione di autodidatti, che non ha trovato ne’ padri ne’ maestri disponibili a generare conflitto. Semplicemente non c’erano, erano impegnati in altro, erano sempre – e da 40 anni – irrimediabilmente giovani.
3. Perché non condivido il fratricidio che contraddistingue questa nostra stagione e, come Umberto Saba, penso che sia questa la maledizione italica. Ma non condivido nemmeno il fatto che sia il Conte Ugolino a segnare la strada. Non mi piace neppure il parricidio, ma non credo si stia discutendo di questo
4. Perché i miei fratelli maggiori hanno tantissimi meriti, ma uno fanno proprio fatica ad averlo: la generosità che poi è sopravvivenza della specie. Quella che serve per sostenere la crescita del branco, quel mettersi a disposizione per evitare l’estinzione, per dare consigli, per indicare la strada senza pretendere, sempre, di essere gli unici a doverla percorrere. Quella che hanno avuto i loro padri, come ci racconta Reichlin nel “Midollo del leone”. Quella generosità che non ha paura di lasciare eredità, perché è forte della strada compiuta.
5. Perché non credo proprio che serva contare le candeline sulla torta per decidere chi ha più fiato. Serve cucinarla, ‘sta torta: avere gli ingredienti, dosare e pesare, sapere cosa metterci dentro perché non si afflosci o non sia immangiabile. Sono disponibile a portare i sacchi di farina, lo zucchero, il cacao. A usare gli ingredienti migliori anche se chi li suggerisce non è mio amico o arriva da un’altra storia. Il lievito lo troveremo, insieme. Il forno è già acceso. Se non c’è la torta, nessuno spengerà le candeline.
6. Perché se c’è qualcosa da rottamare è il metodo, il modo, il cinismo, la cooptazione, la fedeltà premiante, la ricerca dei denominatori comuni con i compromessi al ribasso invece di cercare il multiplo, quello che potrebbe sprigionare energie e moltiplicare gli effetti. La questione è tutta politica, non generazionale. Sbaglia chi va a Firenze per mostrare i muscoli o per prenotare un posto in prima fila. Sbaglia chi mette le asticelle delle età e conta quanti gggiovani (con tante g) sono nelle istituzioni. La gioventù non è una razza: passa, se non si muore giovani.
7. Perché mi piace pensare che l’unico contratto a tempo determinato sia quello con la politica. O meglio: quello di chi viene pagato dalla politica. La militanza è un contratto che dura per sempre: lo sguardo politico sul mondo può rendere degna una vita. Ma il lavoro nelle istituzioni non coincide con la militanza, implica responsabilità e fatica: è un lavoro usurante – se fatto sul serio – e dopo un po’ è giusto passare ad altro per continuare ad avere qualcosa da dire. Io sono temporaneamente impiegata dalla politica: lo faccio al mio meglio, mi usuro, come tanti altri. E so che non si può fare bene per tanto tempo. E’ un po’ come fare per tutta la vita il chirurgo d’emergenza: dopo tanti anni ti abitui, hai mestiere ma non è detto che tu sia sempre totalmente coinvolto. E non c’è nulla di male a mettere a disposizione l’esperienza e il mestiere ai giovani chirurghi, che in cambio ci mettono passione e paura di sbagliare.
8. Perché Firenze è una bella metafora: tanti secoli fa c’è stato il tumulto dei Ciompi, che ha allargato la base dei diritti e della rappresentanza nelle corporazioni e nelle arti. Firenze non deve fare paura, se si capisce che è un po’ il raduno dei Ciompi. E se a nessuno viene in mente di soffocare il popolo minuto o di prenderne la bandiera e usarla per entrare nella Gilda più importante.
9. Perché Firenze è una bella metafora anche vista da Torino, nel 150esimo dell’Unità. Quando è diventata capitale da queste parti non è stata presa bene: la sindrome da vedovanza della mia città è cominciata da lì. Però poi Torino si è inventata un’altra storia, e ha costruito l’avventura della storia industriale italiana del ‘900. Mica poco, quando ti portano via i principi, i nobili, la burocrazia e i ministeri. Ci si inventa un’altra storia: e chi lo fa di solito non c’era prima. Non sono stati i Savoia a farlo. Sono stati altri. Adesso può cominciare un’altra storia: chi ha saputo costruire il Regno non è detto che sappia costruire automobili. Allora non c'è stato regicidio: la Repubblica è arrivata dopo, e adesso dobbiamo tenercela stretta.
10. Perchè se dopo Firenze ci sarà Urbino, Gallarate, Palermo avremmo contribuito ad allargare la rete, ci saremmo tutti rimboccati le maniche e avremmo ricominciato a sognare. Perchè non si sogna da soli: si sogna insieme o ci sono gli incubi.
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