W.S., un imprenditore inglese vuole aprire un bar a Verona, città (della Ue) di cui si è innamorato: secondo la giunta Tosi, W.S. non potrà nemmeno richiedere la licenza, se non avrà imparato molto bene l'italiano. Anche se non starà personalmente dietro il bancone, s'intende (e anche se nessuno sembra averlo notato, questo piccolo particolare).

In più dovrà pagare 10.000 euro. Una bella novità – la reintroduzione delle licenze, che Bersani aveva liberalizzato – per favorire l'imprenditoria in città. Un bel modello per una città turistica così importante. Magari è la volta buona che Shakespeare se ne torna a Stratford-upon-Avon.

Chissà perché non s'incentiva, nella quarta città turistica del Paese (così come viene presentata), la conoscenza di una lingua straniera, magari insegnata attraverso corsi che il Comune potrebbe finanziare a proprie spese (corsi che immaginiamo non esistano nemmeno per insegnare l'italiano, vero?). Da parte della città di Verona sarebbe un utilissimo investimento.

Ovviamente, si dirà, la misura è rivolta agli stranieri non inglesi, né francesi, né tedeschi. E nemmeno a quelli naturalizzati, sia chiaro. Non l'avevamo capito. Davvero.

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