Invece di interrogarsi sui filtri e sulle intercettazioni (quelle che non vogliono al telefono, le estenderebbero senza criterio al web), governo e Parlamento farebbero meglio a preoccuparsi di cogliere l’occasione per comprendere che il web, per 24 milioni di persone in Italia, è un’esperienza di normalità e una straordinaria opportunità per tutti. Alla rete si collegano tutti i giorni la casalinga di Voghera e il piccolo artigiano, lo studente e l’avvocato, il libero professionista e il pensionato. Sul web e nei social network c’è molta politica, ma non “sopra le cose”, bensì “tra le altre”, come è giusto che sia. Le persone non sono anonime, ma sono presenti «di persona, personalmente», secondo il noto adagio del Catarella di Montalbano: anzi, ancor più che per fare gli affari degli altri, sono lì soprattutto per farsi riconoscere, per sentirsi meno sole, a volte, per essere ‘protagonisti’, altre. Facebook, in particolare, è un social network puritano che blocca gli utenti molesti e, quando non si contengono, li espelle dalla piattaforma. Non ammette volgarità e tra le cose sconvenienti, in passato, ha addirittura collocato le foto delle donne che allattano i propri bambini. Oltre a ciò, vale la pena di soffermarsi sul fatto che la disparità di condizioni di accesso alla rete segna un ulteriore elemento di divisione di un Paese che celebrerà la propria unità tra qualche mese. Il digital divide c’è e crea una disuguaglianza nuova e sconosciuta e però influente sui destini dei distretti produttivi e dell’accesso alle informazioni. Leggi troppo restrittive impediscono la diffusione dei collegamenti senza fili, la banda larga per molti è un sogno (che questo governo non pare voler realizzare), il Paese investe troppo poco su queste piccole e grandi innovazioni tecnologiche che lo renderebbero più competitivo e più libero. Per parafrasare Cavour – curiosamente dimenticato in occasione delle celebrazioni dell’Unità d’Italia – c’è da fare proprio il contrario della solita replica di quell’«abusato copione», di cui scriveva ieri Rodotà, «che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d’ordine pubblico, limitando libertà e diritti». Ciò che si deve fare, allora, è rovesciare il problema: applicare le leggi che ci sono già, per fermare eventuali iniziative che possono condurre alla violenza, e rendere, però, più libera la rete, protagonista in queste settimane di un dibattito parziale e volutamente orientato. Queste sono le leggi speciali di cui abbiamo bisogno: la banda larga per tutti, il wi-fi libero, il diritto di accedere facilmente al web e una cultura della rete su cui puntare. I filtri lasciamoli a Cina e Iran. Noi siamo un grande e civile Paese, non è così?
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