Così un cuoco, nel 1987, sfruculiato dal Tg2 ad una festa dell’Unità emiliana, dopo la sconfitta elettorale del Pci di quell’anno. Ce lo ricorda Gianni Cuperlo, in un libro dato alle stampe due giorni dopo le primarie (Cuperlo sapeva di vincere, ma è un signore e ha preferito attendere). S’intitola, alla triestina, Basta zercar. Sinistra, traslochi, Partito Democratico e lo pubblica Fazi (il senso del libro lo trovate a p. 13, attraverso il contributo di un altro mitico battutista del Pci). Cuperlo si rivela un serissimo ottimista (della ragione?), che cerca i motivi della sconfitta senza abbandonarsi al genere letterario dell’analisi del voto (di cui offre una caricatura irresistibile), ma spingendosi più in profondità. Riflette sul berlusconismo – tema a lui molto caro, sul quale è intervenuto anche nella prima direzione nazionale dell’era Bersani. Discute, "contro corrente" a dar retta ai liberisti democratici (ci sono anche quelli…), dell’uguaglianza, che non c’è più e di cui ci siamo liberati troppo in fretta (cfr. anche l’ottimo libro di Biasco). Riparte da una lettura non banale del federalismo (che muove fin da Sturzo, proprio così, per affrontare alcune celebri tesi di Riccardo Illy), da una lettura della sicurezza che sarebbe molto utile a qualche nostro esponente lombardo (e non solo), alla ricerca di parole nuove per la nostra convivenza e per una cittadinanza sentita e vissuta da tutti (e le pp. 159-sgg, sono da manuale). Insomma, da un’idea alta e appassionata della politica, di cui abbiamo un gran bisogno. Spesso mi sorprende quella che sento, si parva licet componere magnis, come una forte affinità intellettuale con gli «appunti» e le «note» di Cuperlo, nella scelta degli argomenti, nell’individuazione dei motivi di preoccupazione, in quella nostalgia di cose buone e chiare da dire agli elettori e di un recupero del discorso politico al di là degli slogan e delle banalizzazioni (anche se poi, alla fine, capita spesso di ritrovarsi collocati in schieramenti diversi all’interno del magico mondo del Pd). Sarà perché leggiamo gli stessi libri, sarà forse, se posso, perché leggiamo. Un buon motivo per sperare che, oltre alla quadratura dei circoli, questo partito sappia far partire nuovamente una vera circolazione delle idee (quanto al ricambio, beh, sarà per la prossima volta…).
Il libro si conclude con una doppietta fantastica, Obama-Kennedy (rispettivamente 2007 e 1962), pressoché indistinguibili, che vi consegno così:
Siamo stanchi di tagli fiscali per i ricchi che trasferiscono il fardello sulle spalle di chi lavora. Siamo stanchi di aspettare dieci anni per un aumento del salario minimo, mentre i compensi per i manager salgono alle stelle. Siamo stanchi di vedere sempre più americani senza assistenza sanitaria, sempre più americani che diventano poveri, sempre più ragazzi americani con il cervello e le qualità per andare al college ma senza i soldi per farlo. Siamo pronti […] perché siamo stufi e stanchi di essere stufi e stanchi.
In tutto il mondo, e particolarmente nelle nazioni di formazione più recente, una generazione di uomini giovani sta prendendo il potere. Giovani che non sono prigionieri delle vecchie paure e dei vecchi odi, che possono lasciarsi alle spalle i vecchi slogan, le vecchie delusioni e i vecchi sospetti. […] Noi non possiamo tradire la loro fiducia. Non non possiamo rinunciare a provare.
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