Frattini non sa bene che cosa dire (gli capita spesso). Del resto, lui che ne sa? Fa solo il ministro degli Esteri. Nel frattempo, La Russa si schiera in Difesa (della bandiera). Qualcuno ricorda che si dovrebbe modificare un articolo della Costituzione (il numero 12, uno dei Principi fondamentali, che così recita: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni»). Sulla rete si passa dalla provocazione («potremmo mettere il crocifisso sul tricolore», propone qualcuno) alla minimizzazione («sono solo sparate propagandistiche», per distrarci dai problemi più importanti). Visitando la Regione straniera, vi posso assicurare che non si tratta solo di sparate propagandistiche. Quando si assiste a proposte di questo tipo, si tratta precisamente di due cose: prima di tutto, di un ballon d’essai, quel palloncino che segnala la direzione del vento, «per sondare le reazioni» (come vuole la definizione). Ma c’è qualcosa di più. Con l’introduzione nel dibattito pubblico di proposte come questa (o come le centinaia di ordinanze degli ultimi mesi, la chiusura di kebab o di phone center, l’opposizione ai centri di preghiera, le ronde e le taglie, le provocazioni tipo apartheid a cui ogni giorno siamo sottoposti), si cerca di accreditare qualcosa di più pericoloso. Si fanno diventare normali (di più, quotidiane) cose che non lo sono o non dovrebbero esserlo. E si introducono, molto spesso per via istituzionale, elementi di discriminazione e di razzismo. Nemmeno più striscianti, ma presentati con i crismi della fascia tricolore (appunto) dei sindaci e con l’intestazione della Repubblica dei ministri e dei parlamentari. Tutto si può proporre, tutto si può cambiare, tutto è discutibile. Poi non si fa nulla di quello che si afferma, ma intanto lo si dice, lo si fa girare, lo si veicola tra la popolazione. E si sposta un po’ più in là il confine. Si pianta una bandiera, verrebbe da dire, con metafora appropriata (Engels diceva che il programma è «una bandiera piantata nella testa della gente»: qui piantano anche i gazebo…). Allora il ballon d’essai non serve solo a «segnalare la direzione del vento»: serve a provocarlo, il vento. E in questo caso, collocare un simbolo religioso sulla bandiera, come ho scritto, non significa nient’altro che assumere ciò che si vuole contrastare, creando, tra l’altro, tensioni inaudite e radicalizzando il dibattito (estremismo chiama estremismo). Così come vietare i luoghi di culto agli altri, in ragione di una malintesa reciprocità, non fa nient’altro che opporre i culti tra loro, coinvolgendo persone che magari di culti non ne hanno alcuno. Le radici dell’Europa dovrebbero essere quelle della tolleranza, dal momento che l’Europa, nel progetto di ascendenza erasmiana a cui è il caso che tutti continuino a richiamarsi, nasceva proprio per superare i conflitti religiosi, politici e etnici. Perché oltre all’Erasmus, a questa Europa serve ancora un po’ di Erasmo. Che era cristiano, così non si spaventa nessuno.
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