L’intervento del vostro affezionatissimo. Lingotto, Torino, 27 giugno 2009.
È il momento. Di cambiare la nostra vita. Di far parte di un partito di cui essere orgogliosi. Di non doverci più giustificare perché crediamo nella politica. Di non dover dire più: «continuiamo a farci del male». È il momento forse anche di celebrare il primo Congresso del Pd, visto che oggi ci sono tutti ed evitiamo le lungaggini di un percorso assurdo di cui qualcuno dovrebbe assumersi la responsabilità, perché sembra figlio di nessuno. Di dimostrare che il Lingotto non porta sfortuna… e che quello che si dice qui può proseguire fuori di qui, nella realtà. Insomma, di non lamentarci più delle cose che non vanno, come se fosse una condanna divina. È il momento. Anche di dire banalità, perché siamo talmente in difficoltà che anche le banalità possono essere molto utili. Di passare dal «si può fare» (ormai famoso) al «fare qualcosa», dal «ma anche» al «quello, non altro». Di costruire quel Pd finora solo immaginato, che nessuno ha mai visto e che in natura non esiste, perché dobbiamo ancora costruirlo. Di dire basta ai Ds e alla Margherita, ai dalemiani, veltroniani, vulcaniani… per davvero però. Di far parte di un partito in cui siano importanti i big, ma soprattutto i little, come oggi, qui a Torino. Di dire basta al politicismo, alla rissa perenne, alla confusione, alle rivalità. L’unica rivalità che dobbiamo avere, ancor prima che con l’avversario politico, è con i problemi del Paese. Quelli sono i nostri unici rivali, non certo chi milita nel nostro partito. E non dobbiamo più parlare di noi, ma di «loro», dei cittadini, delle persone che non capiscono più la politica italiana, perché la politica italiana non li capisce più da tempo immemore. Perché, come ricorderete, la sinistra voleva cambiare il mondo, almeno la nostra piccola porzione di mondo, e si ritrova con le dichiarazioni sui giornali in cui tutti litigano, promettendo di non farlo più, per poi ricominciare immediatamente. Voleva la giustizia e si trova in un Paese in cui la giustizia è troppo poco difesa, in alcuni casi, in altri deliberatamente violentata. Voleva la libertà e se l’è fatta stravolgere e portar via da chi ne ha un’idea bizzarra e pericolosa. Voleva il cambiamento e si trova sempre allo stesso punto, da vent’anni a questa parte, come se fosse il giorno della Marmotta. Voleva il futuro, e si ritrova a parlare solo del passato. È il momento. Di accorciare le distanze, tra chi fa politica e chi la subisce, senza poter intervenire, con un senso di frustrazione e di rabbia. Di dare alla politica un luogo, che in Italia non può che essere il Partito Democratico. Di dare sede al Pd, di trovare un luogo nel quale discutere le ‘cose’ prima ancora delle persone che le rappresentano, proprio come vogliamo fare oggi. Di dare voce a un popolo bistrattato e deluso, anzi, che è peggio, illuso dalle promesse non mantenute. Fuori dai luoghi comuni. Cercando quel vicinanza, di cui parla Sergio Chiamparino, con le persone e con la società che è finora mancato. Per rovesciare un famoso slogan di Obama, noi siamo quelli che nessuno stava aspettando. Che intendono sottrarsi a una logica sbagliata e pericolosa per noi e per gli altri. Che vogliono partire dalle proposte, dal progetto, da un dibattito finalmente libero e senza condizioni. Che vogliono essere diversi per non ripetere gli stessi errori. Noi siamo il Pd. Dobbiamo essere esemplari. Dobbiamo costruirlo in ogni circolo, in ogni federazione, in ogni città e in ogni regione, il Pd come ci piacerebbe. Perché il Pd non è quello degli esempi negativi che amiamo spesso citare, Tafazzi come siamo, ma è quello dell’infermiere di Genova, dello studente di Budrio, del disoccupato di Bari o di Brescia, dell’anziano che si sente solo e impaurito a Milano o a Palermo, della casalinga di Voghera, che ci siamo dimenticati mille anni fa davanti ad un televisore acceso. Sappiamo che siamo un unico partito, che si deve però adattare al meglio alle urgenze locali. Che dà voce ai territori, perché li ascolta, perché abbiamo un problema politico-uditivo. Non ci vediamo molto bene, e in compenso non ci sentiamo un accidenti. Ci riserviamo fin d’ora, in questa fase, un ruolo di garanzia, in questo congresso che sembra partire come sempre, e che rischia l’effetto di una mera contrapposizione e di una colossale occasione perduta. La milionesima. Che rischia di farci perdere consenso e credibilità, e dovrebbe invece farcene acquisire, se fosse quel momento culturale e politico che tantissimi attendono. E a chi ci chiede dove sono i contenuti, dov’è la ciccia, come chiedevano proprio a quel giovane uomo di colore dal nome strano che muoveva da Chicago, rispondiamo che la ciccia l’abbiamo portata da casa. E che siamo pronti. Come alle feste che qualcuno portava i dischi e qualcun altro portava da bere, noi portiamo i contenuti e la speranza di una politica diversa, vicina, ‘etica’ perché fa bene le cose, perché non fa perdere risorse, perché non ci fa perdere tempo. A noi, al Paese, alle persone che di tempo ne hanno già pochissimo. Per questo abbiamo pensato a questa Woodstock democratica, tornando sul “luogo del delitto”, dove tante cose erano state rappresentate, nell’entusiasmo generale, prima di essere clamorosamente lasciate da parte. Le parole chiave sono «metodo», ne parleranno Oleg e Marta, «coraggio», che certo non manca a Ivan e Paola, «coinvolgimento», come spesso ci siamo detti con Sandro, in un partito che sa le cose, che le ha valutate, che guarda all’interesse di tutti e non di questo o quel leader, di questo o quel potere costituito. Anche quando parliamo di regole e di procedure, strumenti e soluzioni, come faremo questa mattina, pensiamo a far funzionare il partito e dare perciò anche un interlocutore credibile ai nostri concittadini. Perché un partito che non funziona non è nemmeno democratico. Quando parliamo di rinnovamento, sappiamo di doverlo poi misurare nei fatti, come fa Matteo Renzi a Firenze da qualche ora. Quando ci siamo trovati a Piombino, con il gruppo originario che ha dato l’avvio a questo percorso, sapevamo di non essere soli, di non dover dire l’ultima parola, e che c’era tutto un mondo intorno con il quale confrontarci e che in parte ritroviamo oggi qui al Lingotto. Quando parliamo di come affrontare i temi programmatici, del nostro progetto, come faremo questo pomeriggio, lo facciamo sapendo che la ricerca è appena iniziata, che lo sforzo di elaborazione è epocale, che le sfide però sono appassionanti, in un mondo grande e terribile e però aperto e meraviglioso come quello in cui viviamo. Pieno di intelligenze, di qualità che abbiamo il dovere morale di coinvolgere e di rappresentare nel migliore dei modi, perché dobbiamo essere talent scout e non aver paura di scoprirli, questi talenti. E non ci bastano le parole di conforto alla base, ai circoli: vogliamo impegni e soluzioni organizzative ma anche economiche. Chiare e precise, inequivocabili, perché nei territori qualcuno ha qualche ragione per sentirsi preso in giro… Un partito in orizzontale, non solo gerarchico, non certo correntizio, che condivida le buone pratiche e le migliori esperienze. Che sappia riflettere sui propri errori e ripartire. Che se sbaglia, ci pensa e cerca di capire perché. Che sia, insomma, riformista di se stesso. Magari con un sorriso, ogni tanto, che siamo così tetri… «Un posto pulito, illuminato bene», come diceva qualcuno. Dove si capisca dove finisce il rimborso elettorale, dove si distribuiscono le risorse, dove si prendono le decisioni, dove le tessere non siano fatte solo in provincia di Napoli (che lì, ho letto, le tessere le fanno al telefono… boh). Perché, non è che dopo tutte queste discussioni, ci ritroviamo con Antonio Bassolino segretario… Non è questione di essere liquidi o solidi (o gassosi, come siamo stati), di essere giovani o vecchi, è questione di essere intelligenti e aperti, credibili e appassionati. La politica non ha età: tutti coloro che credono nel cambiamento, hanno diritto di esserci, di contare. Solo a chi si pensa perenne chiediamo di prendersi una vacanza, magari proprio questa estate, se gli riesce. E magari con uno di quei famosi ticket di cui tanto si parla… Noi crediamo in tre cose: nel ricambio, nel ricambio, nel ricambio… No al posto fisso, insomma, ma largo ai precari della politica e a chi oggi non si sente rappresentato. Ognuno di noi deve essere protagonista di questo cambiamento, di questa sfida. Ognuno di noi deve sentirsi parte di una squadra, che lavora insieme e corre non per una persona o per un piccolo obiettivo, ma per tutti. Parte di una squadra rinnovata nei modi e nello stile che vuole guardare avanti, anziché guardare indietro. Il Congresso non serve a niente, così come lo hanno lanciato. Un’estate così non la vogliamo passare. Penso che in questi mesi voglio fare rete, capire meglio le cose, lavorare per un coinvolgimento più ampio, per proposte più comprensibili, per un partito meglio organizzato. Penso che si deve dare risposta a chi si aspetta che il Pd sia credibile, riconoscibile, autorevole. In una parola democratico: dentro e fuori. Così si entra nel futuro. Che è già iniziato, e noi siamo rimasti indietro, come ci capita spesso. Dobbiamo sapere indicare le cose e dare loro un nome. Parlare come parlano le persone, chiedere loro di condividere con noi le loro paure e i loro desideri, di accompagnarci per cambiare un Paese che probabilmente non sarà mai la Svezia, ma non può neanche rimanere quello che oggi è l’Italia. Noi non ci faremo cooptare, che è anche una parola orrenda, che usiamo solo noi, esattamente come quell’armamentario di formule astruse che ci allontanano dalle persone. Andremo per la nostra strada, quel sentiero difficile su cui ha viaggiato la nostra carovana, verso quella piazza politica a cui tanti aspirano da troppo tempo. In politichese si dice spesso: «Noi non accettiamo lezioni da nessuno». La novità è che noi le lezioni le accetteremo da tutti quelli che avranno qualcosa da dirci, da proporre, da discutere con noi. Una politica rinnovata nelle parole e nelle scelte. Una politica fatta di qualità e di trasparenza: nel suo piccolo, rivoluzionaria. In Italia non c’è. E tutti noi sappiamo quanto ci vorrebbe. Una politica che guardi il Paese, lo veda (lo veda!), lo sappia interpretare, e soprattutto raccontare. Una politica che dica tre parole sulla crisi, chiare, nel Paese che meno ha fatto in assoluto, nel mondo, per fronteggiarla. E sembra che a noi dispiaccia anche solo ricordarlo. Che torni alle parole che saranno sempre di sinistra, sapendo quanto sono importanti: parlare di lavoro, di formazione, di casa, cercando di far passare quella paura che tanto conta, non di alimentarla a nostra volta. Perché la paura è di destra. E basta. Che scelga l’ambiente e la sostenibilità, non come un tema cool della green economy del new deal del global warming, ma come un tema strategico (come ci spiegherà Samuele), che riguarda la nostra vita e quella dei nostri bambini, ma anche la nostra economia, che deve puntare tutto quello che può su un nuovo modello e sulla nuova alleanza tra ambiente e tecnologia. Un partito che non sia sempre in imbarazzo sui diritti, in difficoltà anche sulle cose più semplici. Perché il Pd deve essere laico. Punto. Non è difficile. È così bello e laico essere laici. Dà libertà, dà sicurezza, dà rispetto per gli altri. Anzi, se non fosse che poi ci confonderebbero con gli altri, potremmo aggiungere la ‘L’ di laico alla nostra sigla… Laicità, del resto, è guardare le cose per quello che sono, saper osservare la società nei suoi cambiamenti, estendere ove possibile i diritti a chi non ne ha senza farli perdere proprio a nessuno. Un partito che sia in ogni campo con una propria posizione. Che cambi la Rai, una volta per tutte, che così fa schifo, anche per nostra responsabilità. Che sia autonomo dai sindacati, ma in dialogo con loro. Che sul lavoro maturi finalmente una propria posizione, uscendo dalla sensazione di perenne incertezza che ci accompagna. Che non si preoccupi troppo di quello che fa l’Udc, ma di quello che proponiamo noi, perché le alleanze si fanno dopo aver capito chi siamo e che cosa vogliamo dire. E si fanno per fare qualcosa. Eviterei di allearmi ai conservatori se, come credo, questo Paese lo vogliamo cambiare. Le alleanze sono una cosa seria… Che dia certezza di vita e di futuro ai precari, che si ricordi di loro, una buona volta, perché di loro, dei veri giovani (altro che piombini!), in Italia non si occupa nessuno. Che sappia finalmente affrontare con tutta la nostra capacità e con tutta la forza politica di cui siamo capaci il tema dell’immigrazione, con coraggio e determinazione. E, soprattutto, con costanza, come fanno altri, con toni spregevoli, noi lo dobbiamo fare per le cose serie. Spiegarci, tenere il punto, aprire un’offensiva. Come non abbiamo mai fatto. Mai. No a dichiarazioni di principio, non se ne può più. Da oggi in poi si parlerà di cose da fare. Non genericamente di questo o quel problema, ma di una soluzione, anche piccola, anche iniziale, per affrontarlo. Ecco a voi un partito che ha uno sguardo complessivo e articolato sul Paese, da Monza – la mia città, a pochi chilometri da Arcore – a Castel Volturno, dalla questione dello sviluppo al Sud al problema amministrativo della periferia di Torino. Ecco a voi un partito che passa dal Lingotto al G8, che sia all’Aquila a rappresentare davvero una forza di opposizione e di governo, come ci ha detto Michele, anche perché nemmeno il terremoto pare averci più di tanto distratto dalla nostra routine. E un partito che investa su se stesso. Perché quando il titolo scende, come capita spesso di questi tempi, quando si strappano le cedole, vale la pena di ‘comprare’. Lanciamo una grande campagna di adesione al Pd, di cui altri, tra cui Enzo, parleranno, in ogni città dove vorremo e sapremo organizzarla, sabato 11 luglio. La giornata dei nuovi democratici, vorremmo chiamarla così. Nuovi democratici. Che siamo noi. Qualcuno dirà neodem? Chiamateci per esteso: siamo nuovi e democratici. Davvero. E questa volta ci siamo. Perché? Perché è già troppo tardi. Perché è il momento.
Comments (63)