Alla fine il referendum non si farà il 7 giugno, ma nel weekend successivo o, più probabilmente, il 21, domenica di ballottaggio. Prima domanda: se era anticostituzionale il 7, perché non lo sarebbe il 21? Lo sa il cielo. In compenso, se si opterà per il terzo weekend, si dovrà modificare la legge che norma i referendum, che prevede come termine ultimo per la loro celebrazione il 15 giugno. Tre piccoli porcellin: il sistema elettorale, la decisione di fare saltare il referendum, lo spreco di centinaia di milioni di euro, ai tempi della crisi e in un momento difficile per il Paese. Si tratta della più limpida delle scelte partitocratiche: la Lega sa che in caso di raggiungimento e di prevalenza del sì ai tre quesiti, non solo salterebbe l’amato porcellum, che le consente di prendere i voti “a latere” rispetto a B, ma si metterebbe in discussione anche il suo ruolo da terzista, che la solleva da ogni responsabilità. Non importa che 800.000 cittadini e passa abbiano sottoscritto il referendum, previsto dall’ordinamento e garantito da un preciso riferimento costituzionale. Importa solo la difesa del fortino leghista, a tutti i costi. E, in questo caso, i costi sono alti. E i tre piccoli porcellini se la cantano e se la suonano. Chissà se arriverà il lupo.
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