Massimo Fragassi, a Foggia, la dice così. Il Pd, al Sud soprattutto, non può ridursi ai silenzi e alle municipalizzate. Né, rincariamo noi, la politica può diventare quell’ordine professionale a cui si accede senza meriti particolari ma in virtù di una sorta di premio fedeltà (tu chiamala, se vuoi, cooptazione). A Foggia la raccontano con tre parole. Partecipo, scelgo, decido: uno slogan semplice per il partito che era nato proprio per coniugare questi tre verbi e si ritrova con una partecipazione a corrente alternata, incerto nella scelta e spesso incapace di decidere. A volte, come in The millionaire, ci si ritrova con quattro opzioni e il Pd le accende tutte, senza nemmeno fare la telefonata a casa, né il 50/50. A volte non sembra nemmeno voler sfondare, preferendo accontentarsi di un montepremi più basso, senza grandi ambizioni. Dopo le tappe adriatiche, Rimini, Bari, Foggia, e in questa atmosfera tipo The Terminal in cui mi trovo, aspettando un volo per Roma, patisco parecchio il tempo dell’attesa e della sospensione. Franceschini macina comunicati e un bel gioco, guadagnandosi almeno un punto sopra la sufficienza, ma il partito è quasi tutto da fare, sia che ci si trovi nella pianura che da Vercelli a Marcabò dichina, sia che si frequenti il Tavoliere. Ci vuole qualcosa di più e di meglio: non si può nascere per cambiare la politica e trovarsi a distanza di due anni tra poche parole e molte municipalizzate, a costruir su macerie e mantenersi vivi. Eppure c’è tanta voglia di politica, per le strade e nelle piazze del Paese, e non solo il Pd può recuperare, ma c’è uno spazio politico immenso da occupare, un po’ come fece B in quell’alba del 1994 che sembra non finire mai (e il ritorno, apprezzabilissimo di Prodi, d’altra parte, a suo modo, lo conferma). Bisogna rischiare un po’ e giocare “d’attacco”. Speriamo solo di ricordarci come si fa.
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