Rubo il titolo a Hans Magnus Enzensberger, per la seconda tesi di Wittenberg 2.0.
Conviene che il Partito democratico si ponga il problema di una sua riconoscibilità, di una chiara affermazione delle sue principali linee d’azione e di un forte ancoraggio ad un sistema culturale di riferimento. Il nostro profilo è "molto mosso", per non dire ‘sfuocato’ (come Robin Williams in quel famoso film di Woody Allen), rispetto a molte questioni di ordine politico e la nostra credibilità ne risente molto più di quanto pensiamo. Spesso si dà la colpa alla nostra famosa incapacità di comunicare – che pure è un dato allarmante – ma non si riflette a sufficienza sulla timidezza della proposta e sulla debolezza dell’impostazione che è spesso sottesa alle nostre iniziative (potrei citare la triplice risposta alla provocazione nucleare del governo, per capirci: dal no ragionato, al può essere, al sì entusiastico). E la sindrome weimariana – mirabilmente tratteggiata da Enzensberger nella sua ultima prodigosa fatica – è tipica in questo senso: all’indecisione, al dubbio, all’involontaria ambiguità, all’incapacità di concludere che in molti abbiamo riscontrato nel centrosinistra degli anni passati, da destra rispondono tuonando, proponendo banalità e semplificazioni che hanno però straordinaria presa e fanno dire, a molti, «almeno loro fanno», anche se si tratta, platealmente, di cose sbagliate. In tutto questo, gioca un ruolo fondamentale la coerenza o, se si preferisce, l’ostinazione. L’ostinazione di perseguire una linea politica al di là degli immediati riscontri elettorali, preferendo il concetto di evoluzione – delle proposte, delle idee, delle soluzioni – a quella, più volgare, di sparigliamento. Perché ne abbiamo abbastanza.
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