Mi hanno detto: adesso che Civati è in campagna elettorale, non ha più tempo per leggere e quindi addio recensioni. La mia è una risposta politica: innanzitutto vorrei sapere quanti hanno già letto Milena Agus, Ali di Babbo, Nottetempo, perché è un libro da non perdere. In secondo luogo, consiglio vivamente, anche per tenersi lontani dalle sirene di una certa propaganda, il saggio di Adriano Sofri, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto, Sellerio, in cui mi riconosco dalla prima all’ultima riga. Un testo fondamentale, ahinoi, pensando all’attacco (più o meno velato) alla 194, alla complessità del problema, e alla necessità di fermarsi a riflettere, ogni tanto, anche in Italia (dove sembra quasi impossibile). Se volete andare sul sicuro, infine, vi propongo Il treno di Georges Simenon (Adelphi, come sempre). E’ la storia di una esperienza rivoluzionaria che Marcel, il protagonista, si trova a vivere, in parallelo rispetto alle sue consuetudini abituali, alla vita in famiglia e alle incombenze di un lavoro senza sorprese. Arrivano i tedeschi, al confine tra Francia e Belgio, e Marcel e la sua famiglia salgono su un treno, come profughi, diretti a Sud. Lui, da una parte, e la moglie, incinta, e la piccola bambina, dall’altra.  Marcel le perde di vista, anche perché quasi subito conosce la misteriosa Anna: vivrà con lei una storia d’amore (e di sesso, di quel sesso "prima della fine" che Simenon descrive con tanta precisione) che Marcel interpreta come una vera e propria "altra vita" (come forse fanno tutti coloro che si concedono al tradimento, per la verità), limitata nel tempo e nelle aspettative, ma proprio per questo da viversi fino in fondo. L’eccezionalità della situazione storica porta con sé l’eccezionalità dell’esperienza personale, che Marcel conserverà per sempre, per poter dire prima di tutto a se stesso che Marcel è la persona che tutti conoscono "ma anche" no (semel e semper essendo parenti e in alcuni casi proprio la stessa cosa). Quell’altra vita è pour cause breve e densa come non avrebbe mai potuto essere la vera vita di Marcel: «Non sapevo che cosa sarebbe accaduto. Nessuno poteva prevederlo. Vivevamo un tempo di attesa fuori dello spazio, e io divoravo quei giorni e quelle notti con ingordigia. Ero ingordo di tutto, dello spettacolo mutevole del porto e del mare, dei barconi da pesca di diversi colori che salpavano in fila indiana con l’alta marea, del pesce che veniva sbarcato nelle ceste o nelle cassette, della folla nelle strade, dei diversi aspetti del campo e della stazione». Il finale è grandioso, come sempre, quando si tratta di Simenon: che è forse uno dei più grandi in assoluto, perché il suo modo di scrivere e la caratterizzazione dei personaggi sono semplicemente perfetti. Su quel treno, del resto, ci siamo stati tutti. Nella nostra vita o in quella che avremmo potuto, voluto o dovuto vivere.

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