Come se si trattasse di un paziente di ER. Non ne sentiamo più il polso. E’ anche per questo motivo che siamo in viaggio. Ed è anche per questo motivo che l’ultimo libro di Riccardo Illy, Così perdiamo il Nord. Come la politica sta tradendo una parte del nostro Paese, ci interroga così profondamente. Il punto di vista di Illy è, al solito, lucido, inappellabile, spietato. Il Nord, del resto, non è più un paese per politici. Da troppo tempo. La politica (in generale) non sembra capace di rispondere più alle esigenze della parte del paese che di politica avrebbe più bisogno, per quanto riguarda le infrastrutture, il federalismo fiscale, la qualità dei servizi per il mondo dell’impresa e per chi nel Nord lavora e produce. La questione settentrionale, si badi, è una questione immediatamente nazionale, come ripete da secoli Massimo Cacciari. Non va intesa come questione a parte, localistica, rivendicativa di questo o quel territorio. Anzi, il ‘brutto’ è che la politica italiana, per gli stessi, identici motivi, non sembra essere capace di rispondere né ai bisogni del Sud, né alle richieste del Nord. In questo senso, il saggio di Illy (di cui è obbligatoria la lettura per chiunque cerchi di avventurarsi a far politica "dalle nostre parti") va corretto con l’idea più importante che sia contenuta nel programma di Veltroni: il fatto che abbiamo un "comune destino", in questo Paese, che avvicina le realtà che sembrano più lontane o che in questi anni più sono state allontanate proprio da un certo modo di concepire la politica. E allora una buona politica (i modelli e gli esempi si sprecano: da Lione all’Irlanda fino alle buone pratiche che Illy dichiara di avere sperimentato nella regione da lui amministrata) serve a tutti. Ed è quantomai urgente.
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