Dante elettorale: Inferno, canto I, vv. 100-sgg. Straordinaria l’attinenza del dettato dantesco rispetto alla situazione politica. Non solo e non tanto per il celeberrimo "infin che’l veltro verrà", facendo morire "la bestia" con la dovuta "doglia" (si fa per dire, s’intende). Il Veltro ha un compito ben preciso: non cibarsi di terra (del potere per il potere), né di peltro (le prebende), ma di "sapienza" (il programma), "amore" (la passione) e "virtute" (una certa qual moralità, che nel nostro sistema politico certo non guasta). D’altra parte, per quanto riguarda l’avversario, "molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora", e con ciò Dante si riferisce allo schieramento di decine di simboli contro cui il Veltro si dovrà misurare, in solitudine (e qui pare riecheggiare il salmo: ecce elongavi fugiens et mansi in solitudine). "Di quella umile Italia" sarà motivo di salvezza, in nome e per conto di coloro che morirono per essa ("la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso" partigiani). A noi conviene, però, "tenere altro viaggio" (se vogliamo scampare "d’esto loco selvaggio"), chiudere con gli anni difficili della lunga transizione italiana e rinnovare la politica. Con coerenza e determinazione e senza ambiguità alcuna. Un altro viaggio, nuovo e diverso, grande e terribile ci attende. "Allor [il Pd] si mosse, e io li tenni dietro".

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti