Riflettendo sul libro di Foa e Montevecchi, e sulle stanche parole della politica italiana, mi sono detto: e se la parola chiave fosse proprio la fiducia. Se cioè quella fiducia che non abbiamo avuto in Senato, la ritrovassimo in queste settimane e in questi mesi di campagna elettorale? La fiducia in noi stessi, innanzitutto, che per troppo tempo siamo stati sulla difensiva, in difficoltà, in costanti ambasce. E poi la fiducia nella politica, che deve cambiare e può farlo, perché il punto è quello di non ritorno e più che cambiare il governo qui si deve cambiare il modo di concepirla. E, da ultima ma non certo per ultima, la fiducia nel nostro Paese, che non ce l’ha mica ordinato il dottore che deve essere sempre l’ultimo in Europa. La fiducia, persa ieri, possiamo ritrovarla. Molta strada facendo, recuperando un rapporto con le città e le comunità tradite dal sistema elettorale che prevede liste preconfezionate, che non ci possiamo certo permettere ora. La fiducia, che Prodi non ha avuto da Mastella e da Dini e da Turigliatto e da Barbato e da Pallaro, la chiederemo a tutto il resto degli italiani. E non saranno i 161 di giovedì ad impensierirci: ci sono milioni di persone che non chiedono altro.
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